Viaggio nei luoghi della memoria
martedì 30 gennaio 2024
Non si è mai capito se i Siracusani abbiano fondato l’antica Akrai (l’odierna Palazzolo Acreide) come roccaforte militare o come “dependance” estiva per sfuggire alle calde ed umide serate di Ortigia. Siracusa aveva raggiunto una tale potenza e prosperità da potersi permettere di costruire essa stessa nuove città: nel 664 a.C sorse Akrai, nel 644 a.C. Casmene (tra Buscemi e Buccheri a ridosso di Monte Lauro) e nel 599 a.C. Camarilla (l’odierna S. Croce Camerina). Uno spaccato importante di quella civiltà straordinaria oggi si può ammirare all’interno del Museo Archeologico di Palazzolo Acreide. Un luogo della memoria, quasi “sacro” per gli abitanti di questa parte della Sicilia orientale, come ama ripetere Francesco Gallo Mazzeo, critico d’arte e per tanti anni docente di Storia dell’arte in tanti atenei italiani e stranieri, che mi accompagna in questa visita all’interno del museo allestito da qualche anno nello splendido Palazzo Cappellani. Camminiamo tra vasi nobilmente decorati, anfore delicate, sculture che sembrano parlare, monete coniate in Grecia, ceramiche attiche. Oltre duemila reperti scoperti alla fine dell’ottocento dal barone Gabriele Judica, un nobile intellettuale di Palazzolo Acreide, sul sito di Akrai, accanto ai Santoni, e nella necropoli della Pinita. << Ogni volta che entro in questo museo archeologico è come se venissi ad incontrarmi con un altro me stesso e con tutta una mia famiglia di avi, vissuti in queste terre, già in epoca greca e sicuramente in quella romana>>, mi confessa quasi commosso Francesco Gallo Mazzeo. Anche lui è nato qui in mezzo ai vicoli silenziosi e gentili del borgo di Palazzolo Acreide, da alcuni anni “ Patrimonio dell’Unesco”. È uno dei tanti personaggi illustri, cresciuti in questo paese, che ha dato i natali anche ad Alessandro Italia, Giuseppe Fava, Pippo Rovella e a tanti altri studiosi, scrittori, ricercatori, tutti eredi di un patrimonio antropologico, culturale, sociale. Akrai era una città moderna : aveva il suo teatro collocato in cima al monte, il suo Bouleuterium, il Senato dove si riunivano i saggi della “polis”, i templi, un asse stradale (il “decumanus”) che collegava le due porte principali della città. Il periodo di maggior splendore urbanistico della città sicuramente fu in età ellenistica (III-II secolo a.C.), come hanno dimostrato le numerose campagne di scavi, quando Akrai svolse un ruolo politico e commerciale importante anche di difesa delle vie di accesso a Siracusa. La Sicilia, tutto le regioni del nostro Mezzogiorno sono uno scrigno di tesori di inestimabile valore da proteggere e da tramandare a chi verrà dopo di noi. <>,sussurra Gallo Mazzeo quasi a non voler disturbare quella atmosfera così intima. Ci fermiamo al piano terra dove c’è una piccola mostra permanente sui reperti del sito di Casmene, una altra città greca misteriosa, esplorata solo in parte dal grande archeologo Paolo Orsi, sepolta tra queste montagne un tempo inaccessibili. Nel piano superiore ci sono invece i reperti della colonizzazione corinzia, dell’ età arcaica, classica e post classica, ellenistica, romana e tardo romana. È un viaggio nel tempo, tra vasi di originale fattura importati da Corinto, Sparta, dall’Etruria, dalla Ionia, da Atene, tra gioielli abilmente realizzati ed una serie di bassorilievi ed iscrizioni. Ci sono voluti quasi cinquant’anni per aprire nel 2014 questo museo straordinario, tra progetti, finanziamenti insufficienti, trattative per l’acquisizione dei reperti custoditi in collezioni private e musei limitrofi. Eppure qualcuno ha paventato il rischio concreto che questo piccolo Museo sia un luogo di cultura per pochi intimi, come quello archeologico di Marianapoli, quello Ibleo di Ragusa, il civico di Polizzi Generosa o il Castello a mare di Palermo. << Sono stupidaggini. Un museo è un luogo di corservazione, un tempio che custodisce la nostra cultura, le nostre radici. Dove dovrebbero stare questi oggetti? Nella villa di un miliardiario? >>, si scuote ora Gallo Mazzeo. <>.Parliamo dell’ Annunciazione, il famoso dipinto di Antonello da Messina, datato al 1474 e conservato nel Museo di Palazzo Bellomo a Siracusa, trasferito dalla tavola alla tela a causa dell’assoluta inconsistenza strutturale del supporto ligneo. Corroso dall’umidità, sottoposto a continui interventi di manutenzione e restauro. Il contratto per la realizzazione dell´opera venne siglato il 23 agosto del 1474 tra Antonello e il sacerdote Giuliano Maniuni di Palazzolo Acreide, davanti al notaio Antonio Mangianti. Era un’opera che si trovava su una parete laterale della chiesa di Maria Annunziata a Palazzolo Acreide. Ma di quell’opera di straordinaria bellezza si persero in seguito le tracce, finché venne ritrovata nel 1896 da Enrico Mauceri, incaricato dal Museo Archeologico di Siracusa di compilare un catalogo delle opere d´arte della provincia. Nel 1907 fu trasferita quindi nel museo archeologico di Siracusa. Fu una sorta di “scippo”. Nel 2016 il dipinto è tornato a Palazzolo solo per qualche mese in una mostra sul Rinascimento su iniziativa della Soprintendente ai beni culturali di Siracusa Rosalba Panvini. Ma sul Giornale dell’Arte, Silvia Mazza criticò aspramente questa scelta, definendolo “un progetto culturale assai debole e in obbedienza a pretese campanilistiche del territorio che se fossero ascoltate anche altrove, in nome di una restituzione ai contesti per cui le opere furono realizzate, si potrebbero svuotare i musei di mezzo Paese>>. Tuttavia, Francesco Gallo Mazzeo, da intellettuale libero quale è sempre stato, va contraccorente.Tuttavia, Francesco Gallo Mazzeo, da intellettuale libero quale e’ sempre stato, va contraccorente.< |
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