Cinquantanni fa il 2 dicembre del 1968 i "fatti" di Avola. La strage senza colpevoli
sabato 8 dicembre 2018
La grande piazza di Avola, bianca ed assolata anche a dicembre, è sempre piena di gente. Ogni domenica mattina, gli agrumai assieme ai "mediatori", tutti azzimati, discutono quietamente, come un rito. Stanno seduti l’uno accanto all’altro, spalla a spalla. Dirimpetto, dall’altra parte del marciapiede, ci sono i braccianti, gli operai stagionali, i muratori, i disoccupati in cerca di lavoro. C’è un clima strano di rancore. Si guardano, si salutano con gentilezza. Ma non si parlano. Sono passati cinquant’anni dai “fatti d’Avola”. Ma la ferita non si è mai rimarginata. Qui sembra che non sia cambiato niente da quel tragico 2 dicembre del ’68, quando due poveri braccianti, Angelo Sigona e Giuseppe Scibilla, caddero colpiti a morte, sul selciato della statale 115 dopo una violenta battaglia con i reparti della celere. Ci furono decine di feriti, manifestazioni di solidarietà in tutta Italia. Ma quella di Avola è tuttora una strage impunita. Chi diede l’ordine di sparare ai dimostranti? Che fine hanno fatto le inchieste penali ed amministrative? Sono tutti interrogativi ancora senza risposta.
In Sicilia non si registrarono grandi rivolte studentesche: il ’68 isolano è vissuto in quell’episodio. Una settimana di scioperi nella provincia di Siracusa, contro le ostinate posizioni degli agrari, culminate con i blocchi stradali dei braccianti ad Avola. Sullo sfondo c’erano le disparità salariali con le altre province, il caporalato, turni di lavoro infernali, la miseria, la disperazione. Erano gli anni del Governo “balneare” di Giovanni Leone, della polizia che bisognava, secondo alcuni , “disarmare”. Per due giorni, Avola, questo paesone agricolo a due passi da Noto, lungo la costa del siracusano, famoso per le sue mandorle e per il suo vitigno ( il “nero d’avola”) , divenne la capitale delle lotte sindacali. Tutta l’Italia si fermò. < > racconta oggi con le lacrime agli occhi, Giovanni Trigila, un vecchio bracciante della Camera del Lavoro. Alla polizia fu ordinato di sgombrare la strada all’ora di pranzo. Ci furono 25 minuti di battaglia. Quando la celere cominciò a caricare, la gente si difese con i sassi, riparandosi anche dietro gli alberi di mandorlo. Furono lanciati i lacrimogeni. Poi partirono anche dei colpi di arma da fuoco. Alla fine, restarano a terra due poveri braccianti. Nella notte i rappresentanti degli agrari firmarono il contratto, lo stesso che per tanti giorni non avevano voluto prendere in considerazione. Avola divenne il simbolo di una stagione di lotte per cambiare il mondo del lavoro. Dal seme di quel sangue sarebbe venuto l’autunno caldo del ’69, lo Statuto dei lavoratori, fu avviata la soppressione delle gabbie salariali. Potrebbe sembrare preistoria, ma a sentire i sindacati poco o nulla è cambiato nelle campagne siciliane. C’è ancora tanto da fare per far rispettare la nuova legge contro il caporalato ed i contratti, soprattutto nelle piccole aziende agricole. <>, denuncia Sergio Cutrale, Segretario provinciale della Fai Cisl di Siracusa e Ragusa. << Parliamo di lavoratori, uomini e donne, che prendono un salario di 30 euro per una giornata di lavoro sotto il sole cocente o la pioggia. C’è ancora tanta illegalità, condizioni di sfruttamento, emarginazione sociale. Anche se per fortuna con gli enti bilaterali riusciamo ad integrare i salari di molti di questi lavoratori>>. Avola è oggi una città in eterno movimento, un brulicare di auto, furgoni, camioncini che si ammucchiano ad ogni crocevia delle strade, tutte parallele e tutte perpendicolari. È un comune operoso, ben amministrato negli ultimi anni, nonostante la mafia catanese abbia piantato da tempo perfide radici nel controllo del gioco on line e del malaffare. Ma proprio ad Avola da venticinque anni Don Fortunato Di Noto combatte con la sua Associazione Meter contro la pedofilia ed a tutela dell'infanzia in Italia e nel mondo. Anche quest’anno il 2 dicembre, le autorità, i sindacati, i vecchi braccianti e molti giovani saranno tutti insieme davanti al piccolo ceppo che ricorda la strage di cinquanta anni fa a contrada Chiusa di Carlo. Ci saranno anche le figlie di Giuseppe Scibilia, Maria e Carmela, che aspettano ancora le scuse dello Stato, di sapere come andarono davvero le cose. Nessuno lo ha appurato con certezza. Gli archivi del Viminale sono ancora top secret. I responsabili di quell’eccidio non sono mai stati processati. L’unica risposta concreta fu la pioggia di denunce che fioccò sui braccianti avolesi: in totale, 145 mandati di comparizione, furono incriminati anche i feriti. Poi l’inchiesta giudiziaria fu archiviata, i lavoratori amnistiati e l’uccisione dei due braccianti attribuita ad “opera di ignoti”. << A distanza di tanti anni da quei tragici fatti rimane valido il messaggio forte di chi lottò per la dignità del proprio lavoro>>, rimane convinto Paolo Sanzaro, Segretario generale della Cisl di Siracusa e Ragusa. << Lo è ancor di più oggi per tutti quei giovani e per quella fascia di cinquantenni che rischiano di perdere il lavoro e la speranza per il futuro>>. Parole di speranza. Ma per quelli che la mattina del 2 dicembre del ’68 si trovavano a Chiuse di Carlo non sarà mai facile perdonare.
Salvo Guglielmino
Il Dubbio 2 dicembre 2018
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