La storia di Matteo Catalano, palazzolese doc e amico di Michelangelo Buonarroti
Sembra una di quelle vicende tratte da un romanzo di Carlos Ruiz Zafòn. Un manoscritto segreto, una tela misteriosa, una chiesa da edificare nel cuore di Roma, gli intrighi dei Papi e della nobiltà capitolina del Cinquecento.
Con un testimone d'eccezione: un sacerdote siciliano, Matteo Catalano, nato a Palazzolo Acreide nel 1522 e trapiantato a Roma a 24 anni. Un uomo di fede, che aveva fatto edificare a proprie spese a Roma, a pochi passi da Fontana di Trevi, in via del Tritone, la Chiesa "nazionale" dei siciliani, dedicata al culto della Madonna Odigitria (reca ancora la scritta "Proprietas sicolorum"). Un luogo che tutti i siciliani dovrebbero visitare nella Capitale, come consigliava Santi Corrente nella sua irripetibile "Storia di Sicilia". Ma andiamo per ordine. Uno dei più brillanti ricercatore dell'Istituto Studi Acrensi di Palazzolo, Tonino Grimaldi (purtroppo prematuramente scomparso) aveva svelato, alcuni anni fa, l'esistenza di un manoscritto che raccontava la lunga e travagliata vicenda che, nell'arco di un quarantennio, aveva condotto all'edificazione a Roma della Chiesa di Santa Maria degli Angeli, sul vecchio sito romano delle Terme di Diocleziano. Era stato proprio il palazzolese Matteo Catalano a scrivere, come un formidabile cronista, quella fantastica "Historia" in virtù della sua solida amicizia con Antonio Lo Duca, un sacerdote di Cefalù e tenace "ispiratore" della Basilica. Dopo cinquecento anni di oblìo, una giovane ricercatrice di Palazzolo Acreide, Lorenza Bennardo è riuscita a scovare negli archivi della biblioteca Vaticana il testo originale del manoscritto di Catalano.
"La "Historia" offre uno spaccato della vita, del comportamento e degli intrighi di illustri personaggi della nobilta' e della èlite ecclesiastica del Cinquecento", sottolinea la Bennardo nella prefazione al testo, recentemente ripubblicato dall' Istituto Studi Acrensi di Palazzolo per iniziativa del del suo storico presidente, Carlo Monaco. E' una vera e propria chicca per gli studiosi del Rinascimento. Lo Duca e Catalano, questi due incredibili sacerdoti siciliani, incontrarono nell'arco di quarant'anni sei Papi, numerosi uomini di potere e soprattutto tante nobildonne per promuovere la devozione ai Sette Angeli e sollecitare il progetto di una Chiesa a loro intestata. Senza la loro costante opera di stimolo, Michelangelo Buonarroti, di cui furono assidui frequentatori, non avrebbe mai realizzato la Basilica di Santa Maria degli Angeli, dove oggi si svolgono tutte le cerimonie ufficiali e, purtroppo, anche tanti funerali di stato. La prova e' in una tela custodita oggi a Roma, in una cappella della stessa Basilica. In quel ritratto collettivo (individuato per caso dal mio amico Enzo Mormina, un altro "topo" di archivi ecclesiastici) e' rimasta impressa una delle pagine piu' affascinanti della storia capitolina. Nel dipinto ci sono i due sacerdoti siciliani, Lo Duca e Catalano, attorniati da Papa Pio IV, il cardinale Serbelloni, l'Imperatore Carlo V, Margherita d'Austria duchessa di Parma, Vittoria Colonna, la duchessa d'Urbino Vittoria Farnese con la figlia. Uomini e donne il cui impegno consentì l'edificazione della Chiesa. Nella sua “Historia”, Matteo Catalano racconta che Lo Duca aveva presentato diverse petizioni ai Pontefici del tempo per invitarli a costruire a Roma una Chiesa nel vecchio sito delle terme di Diocleziano, sulla base di una visione avuta nell'estate del 1541, quando avrebbe visto una "luce più che neve bianca" che si ergeva dalle Terme con al centro i sette martiri (Saturnino, Ciriaco, Largo, Smaragdo, Sisinnio, Trasone e Marcello papa). Questa “rivelazione” lo avrebbe convinto che doveva sorgere, proprio lì, un tempio dedicato ai sette Angeli ed ai sette martiri. Tuttavia, le piu' importanti famiglie romane del tempo avversarono con tutte le forze il progetto di trasformazione dell'area delle Terme. Il perche' lo sottolinea lo stesso Catalano nella sua lunga cronistoria. Le grandi sale dell'edificio pagano venivano utilizzate su disposizione del Papa Giulio III per la doma dei cavalli e per altre attività ludiche e sportive. E poi c'erano i grandi blocchi di marmo che facevano gola ai costruttori romani. Anche dopo la consacrazione della Chiesa, Papa Sisto V in persona aveva ordinato di estrarre, tra il 1586 e il 1589, dalla zona delle antiche Terme il materiale per la costruzione della sua villa sull' Esquilino. Non sorprende, dunque, come annota Lorenza Bennardo, che il riutilizzo cristiano delle Terme fosse stato approvato da "quasi tutti li Romani nel Consiglio di Campidoglio", come una sorta di parziale antidoto alla sistematica spoliazione del sito. Sta di fatto che solo dopo un lungo peregrinare, Antonio Lo Duca e Matteo Catalano riusciranno a convincere in una udienza speciale Papa Pio IV ad edificare la grande Basilica di Piazza della Repubblica. Una circostanza fortuita, come racconta nella “Historia”, lo stesso Catalano. Fu Michelangelo Buonarroti a far venire in mente al Papa l'esistenza di una petizione presentata da Antonio Lo Duca per la trasformazione delle Terme in Chiesa. In realta', il grande artista si riferiva a Jacopo Lo Duca, nipote di Antonio, anch'egli scultore e autore del "Mascarone " di Porta Pia. Ma, a volte, le grandi opere nascono anche da un colpo di fortuna. La Sicilia 31 marzo 2013