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Palazzolo, la mia piccola grande Baaria
venerdì 10 agosto 2012
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C’è un unico posto al mondo dove, il dieci agosto, a mezzogiorno in punto, le “stelle cadenti” piovono in pieno giorno. E’ una tradizione che si ripete da secoli. La chiesa barocca di San Sebastiano, a Palazzolo Acreide, viene letteralmente sommersa da milioni di “nzareddi”, lunghe strisce di carta colorata che, spesso, a causa della polvere pirica, si incendiano come carboni ardenti. Centinaia di donne, seguono a piedi scalzi la statua vacillante del Santo, portato a spalla nuda dagli uomini, i più forti del paese. L‘asfalto bollente, diventa come molliccio al passaggio dei fedeli. I bambini, poi, raccolgono i cumuli di carta arrotolata e li conservano come un dono del Santo. Nulla è cambiato nel paese della mia fanciullezza. Qui anche l’aria sa di buono. Profuma di minestre con le fave, di ravioli al sugo forte del maiale, di coniglio alla “stimpirata”, di frittate di asparagi e ricotta di pecora. Nomi fantastici di cibi dalle etimologie greche e latine, arabe, francesi, spagnole. “I maccarruna ri casa”, “a cuccia”, “u scacciuni”, “u cudduruni”, “a gghiotta”, “i ntuppatieddi ”, “a ghiugghiulena”. E soprattutto “a sasizza”. Per i palazzolesi, la salsiccia  non e' soltanto un'arte della cucina, di aromi, di giusta rosolatura, ma una questione di ambiente, di altitudine. Il sapore dipende dalla terra nella quale  e' stato  coltivato il peperoncino rosso, a quale sole dell'anno e' stato raccolto il finocchietto rizzo, e soprattutto, su quale collina  e' stato allevato e nutrito il maiale. Se l'arte della salsiccia fosse pari a quella del dipingere o scrivere versi, i macellai di Palazzolo Acreide dovrebbero essere tutti nominati  cavalieri dell'ordine della salsiccia. Non e' un caso che questa città, tutelata dall’Unesco come patrimonio dell’umanità, sia diventata negli ultimi anni anche una meta obbligata dello slow food siciliano. Gran parte dell’economia ruota sul buon mangiare. Un caso unico in Sicilia. Ci sono ristoranti, pizzerie, pub in ogni cortile. Ciascuno di essi ha la propria recensione su Tripadvisor. Giovani chef locali come Andrea Alì, Salvo Calleri, Valentino Quattropani, hanno saputo miscelare sapientemente vecchi e nuovi ingredienti, con risultati straordinari. Ma il loro "maestro" non e' stato Vissani o il ragusano Ciccio Sultano. Il padre nobile delle cucina palazzolese resta per tutti Nunzio Cannata. Aveva cominciato come lavapiatti in Venezuela. Tornato in Sicilia, nei primi anni settanta, aveva aperto un ristorante in una grotta scavata sulla roccia dalla famiglia La Mesa, sul greto del fiume Manghisi. “Nunzio  riuscì con il suo estro e la sua fantasia  a dare una identità alla cucina palazzolese”, racconta Pippo Pirruccio, il più fedele degli allievi di Cannata.“E’ stato il primo in Sicilia ad abbinare i sapori aspri della montagna a quelli del mare. La sua zuppa con il pesce, i fagioli, le polpettine di carne rimane una invenzione di sapori irrepetibile”. Anche Salvatore Corsino e la figlia Concettina meriterebbero una strada o una piazza a Palazzolo. Erano una coppia di geniali pasticceri che infondeva serenità e fiducia già nello sguardo. I loro dolci scandivano le festività del calendario. Nomi che sembrano usciti dai racconti di Camilleri: “ciascuna”, “ossa re muorti”, “facciuna”, “pagnuccata”. I loro eredi continuano a tramandare queste antiche ricette anche al di fuori della Sicilia. Questa è la mia Baarìa. Un film dove scorrono le dispute infinite per il governo della città tra il democristiano Giovanni Nigro e il socialista Carlo Giuliano, i gol nel vecchio stadio in terra battuta di Aldo Buccheri e di Nello Malignaggi, l'edicola in piazza del popolo di Ugo Santoro, i saggi ginnici nella vecchia scuola elementare del direttore Enrico Fazzino. Personaggi memorabili. Luoghi della memoria da incorniciare. Come il vecchio cinema Odeon di via Maestranza, chiuso ormai da quasi vent'anni. Lì si faceva di tutto: si ballava a Natale e Carnevale, si allestivano i banchetti dei matrimoni, si faceva all'amore dietro le tende nell'oscurità. Quel cinema e' stato il simbolo della rinascita sociale della città. Almeno fino a quando, negli anni settanta, i fratelli Caruso, trasformarono i "dammusi" di un vecchio palazzo barocco nella Spelonca, il primo night club della storia della Sicilia. Nemmeno a Taormina c'era un locale raffinato come quello, con i suoi divani di velluto rosso, le luci stroboscopiche, la grotta per i momenti più intimi, la pista da ballo argentata. Ci venivano a cantare i Platters, Fred Bongusto, i Pooh, persino le spogliarelliste delle Folies Bergère di Parigi. Paradossalmente il declino della Spelonca cominciò con la riscoperta dei grandi "veglioni" di piazza, dove la gente vuole divertirsi senza pagare il biglietto.Un po' come avviene da almeno due secoli ogni estate con la festa del 10 agosto di San Sebastiano, dove sacro e profano si mescolano nella convinzione collettiva,tipica del popolo siciliano,di essere persino amici personali dei Santi. Salvo Guglielmino                            La Sicilia 9 agosto 2012          
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