Vent'anni fa, il 31 luglio 1992, l'accordo che aboliva la scala mobile
domenica 29 luglio 2012
Sono passati vent’anni dalla fine della “scala mobile”. Il meccanismo di indicizzazione dei salari all’inflazione fu, di fatto, abolito il 31 luglio del 1992 nello storico protocollo siglato a Palazzo Chigi tra il governo Amato, i tre sindacati e la confindustria. La “contingenza”(così era volgarmente chiamata la scala mobile) veniva calcolata seguendo l’andamento variabile dei prezzi di particolari beni di consumo, generalmente di larga diffusione. Ogni tre mesi, una commissione aveva il compito di determinare le variazioni del costo della vita, a cui i salari venivano adeguati. Ma, dalla fine degli anni settanta, quel meccanismo automatico aveva contribuito, secondo tutti gli economisti (in primis il premio nobel Modigliani), alla continua crescita dell’inflazione. Era come un cane che si mordeva la coda. La prima svolta si ebbe il 14 febbraio 1984. Con un decreto, il Governo Craxi tagliò di 4 punti percentuali la scala mobile, per combattere il galoppante aumento dei prezzi che viaggiava su percentuali a due cifre. Il provvedimento era frutto dell’accordo di San Valentino, siglato dal Governo con Cisl e Uil, senza la Cgil di Lama. Una spaccatura profonda, sociale e politica. L’anno dopo, in un clima infuocato, si svolse il referendum abrogativo che sancì la sconfitta del Pci di Berlinguer. Una scelta riformista che in piena campagna referendaria costerà la vita all’economista Ezio Tarantelli, il padre spirituale dell’accordo di San Valentino, ucciso dalle brigate rosse , proprio davanti alla facoltà di Economia. Il taglio della contingenza rimase. Ma il tema della riforma, tornò prepotentemente attuale, cinque anni dopo, nel giugno del 1990, quando la Confindustria di Pininfarina disdettò in maniera unilaterale la scala mobile. I sindacati, a quel punto, proclamarono uno sciopero generale che indusse l’ultimo governo Andreotti a prorogare a tutto il 1991, attraverso una “leggina”, la scala mobile. Il governo aveva risolto il braccio di ferro sostanzialmente a favore del sindacato: ma le parti sociali si impegnarono a iniziare il 1° giugno del 1992 il negoziato per la “ristrutturazione del salario e del sistema contrattuale”. < >, racconta Sergio D’Antoni, oggi deputato Pd e all’epoca giovanissimo (a 44 anni) segretario generale della Cisl. <>. Un vento nuovo soffiava nel paese. Sotto i colpi dei referendum e di tangentopoli si disfaceva la prima repubblica. Il pomeriggio del 23 maggio del 1992 Giovanni Falcone , la moglie e gli agenti della sua scorta venivano uccisi con una strage terribile sulla autostrada Palermo- Punta Raisi. Un mese dopo anche Paolo Borsellino e gli agenti che lo proteggevano furono massacrati in un attentato. Un colpo durissimo per il paese. Il sindacato reagì con una grande manifestazione unitaria a Palermo, la più imponente nella storia del Mezzogiorno. Anche i partiti (o almeno quel che ne era rimasto) fecero quadrato intorno alle istituzioni , eleggendo a larga maggioranza, Oscar Luigi Scalfaro come Presidente della Repubblica, il quale affidò l’incarico di formare il governo a Giuliano Amato (dopo il ritiro della candidatura di Craxi). Era l’inizio dei governi tecnici sostenuti anche da sindacati e dalla confindustria, che porteranno l’Italia in Europa. L’esordio di Amato fu alquanto risoluto. In una intervista che suscitò non poche polemiche, il 15 marzo del 1992, Amato ribadì l'idea che <>. Ogni punto di contingenza corrispondeva a circa mille miliardi in più che lo stato pagava come interessi sul debito pubblico. D’Antoni spingeva fortemente per la scelta “virtuosa” della politica dei redditi per tutelare i salari. Ma la Cgil di Trentin reagì malissimo, definendo quella proposta <>. Tuttavia la trattativa con il nuovo governo partì ai primi di luglio. <>, ricorda ancora D’Antoni. << Nei primi giorni del mese di luglio , l'intreccio tra le varie questioni sul tappeto appariva inestricabile: costo del lavoro, manovra economica, pensioni, riforma fiscale. Una mattina chiamai Giuliano Amato e gli dissi chiaro e tondo che il sindacato non avrebbe accettato stangate, come una ventilata addizionale IRPEF. Se ci dovevano essere sacrifici, questi dovevano essere distribuiti su tutti, a cominciare dal varo della minimum tax per i lavoratori autonomi . Amato era d’accordo. Ma voleva chiudere subito la trattativa sul costo del lavoro prima della pausa estiva, per poi affrontare a settembre il problema della legge finanziaria, con un accordo forte alle spalle>>. Nella notte tra il 29 e il 30 luglio , Amato mise a punto un testo i cui temi centrali erano la definitiva abolizione della scala mobile, il blocco della contrattazione articolata per tutto il 1993, un controllo attento dei prezzi e delle tariffe. Erano obiettivi fondamentali di politica dei redditi per avviare il risanamento della finanza pubblica. <>. La minoranza della Cgil, guidata da Bertinotti ,era schierata compatta per il no, perché considerava una sconfitta per il sindacato, le indicazioni del Governo. C'era il rischio di una nuova San Valentino, con un accordo separato. Ma il segretario della Cgil, Bruno Trentin, pur non condividendo l’accordo, aveva compreso l’eccezionalità della situazione e poi non se la sentiva di respingere quella intesa , anche per via di uno “storico” rapporto che legava Amato alla Cgil(Amato, era stato alcuni anni prima capo dell’ufficio studi della confederazione). E così alla fine Trentin firmò, insieme a D’Antoni e Larizza, nel pomeriggio del 31 luglio, l’accordo. Subito dopo, il capo della Cgil non partecipò nemmeno alla conferenza stampa. Aveva già scritto una lettera ai componenti della sua segreteria, annunciando le sue dimissioni. Poi partì per le ferie. In nottata il direttivo della Cgil votò a maggioranza contro l’intesa. Tutta la sinistra insorse. Solo Del Turco difese l’accordo. Il Segretario dei DS, Occhetto dichiarò sibillino che <>, chiedendo che prima di firmare i sindacati dovevano sentire i lavoratori. Bassolino e Mussi dissero che l’intesa era buona solo per gli industriali. D’Antoni invece non ha mai avuto dubbi: “L’accordo era un passo obbligato, perché in una fase in cui le divisioni nel paese tenevano banco, quel testo rappresentava un segnale di unità della classe dirigente, di fiducia”. Tre giorni dopo il governatore della Banca d’Italia, Ciampi abbassò di mezzo punto il tasso ufficiale di sconto , "firmando" idealmente l'intesa”. Solo a settembre, al direttivo della Cgil di Ariccia, Trentin ritirerà le dimissioni. Gli eventi successivamente dimostrarono quanto la scelta di tutto il sindacato fosse stata ineluttabile per salvare il paese dalla bancarotta. Ma la contestazione da parte dei movimenti antagonisti fu davvero violenta. Quando il governo Amato varò la famosa manovra da 93 mila miliardi , dopo la svalutazione del 7 per cento della lira ,con l’uscita successiva dallo Sme, i sindacati decisero di proclamare una serie di scioperi regionali e manifestazioni in tutta Italia per chiedere una modifica della manovra. Il 13 ottobre del 1992 passerà alla storia come la giornata dei “bulloni”. A Milano la piazza ribolliva di gente. C’erano almeno 80 mila persone, gomito a gomito, senza soluzione di continuità. In un angolo, un gruppo di autonomi e di cobas cercavano ripetutamente lo scontro fisico con la polizia, sfondando il cordone del servizio d’ordine del sindacato, nel tentativo di fare degenerare la protesta. Sul palco la tensione era altissima, ed in tanti avevano cominciato ad abbandonare la posizione. Sergio D’Antoni, che aveva rifiutato gli schermi plexiglass protettivi della polizia, fu colpito sul labbro da un bullone di ferro. Ma il sindacalista siciliano, continuò il comizio, con il sangue che gli scorreva sul mento. Oggi l’ex leader della Cisl racconta: “Riuscii, a fermare la polizia che stava per caricare i contestatori. La polizia stia al suo posto e non intervenga- gridai- i provocatori saranno isolati dai lavoratori. A quel punto rimasero tutti ammutoliti. Poi scoppiò un applauso liberatorio. Nel giro di tre minuti, 80 mila persone isolarono gli estremisti. La piazza, che fino a quel momento era stata tiepida, a quel punto si schierò tutta con noi. Mi spiegarono più tardi che l’appello a non far intervenire la polizia, era molto sentito dai milanesi, fin dai tempi della tragica vicenda dei cannoni di Bava Beccaris. Ma stavolta nessuno alzò un dito contro la folla. Il sindacato uscì vincitore da quella battaglia. Avevamo sconfitto la violenza ed i nemici della concertazione. Se avessimo ceduto alle richieste dell’estremismo, dei cosiddetti "autoconvocati", la storia del sindacato e del paese, probabilmente , sarebbero cambiate. Non avremmo potuto forse siglare gli accordi successivi con il Governo Ciampi sulla politica dei redditi e sul nuovo sistema contrattuale. Non avremmo avviato il risanamento dei conti pubblici e non saremmo entrati nella moneta unica europea”. I vecchi, freddi, bulloni, il simbolo delle lotte di fabbrica, di un vecchio modo di intendere le relazioni sindacali, non riuscirono a fermare quel processo storico che il sindacato aveva responsabilmente deciso di portare avanti.
La Sicilia 28 luglio 2012
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