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Il "caso" Giuseppe Rovella
martedì 20 gennaio 2009
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Nel panorama composito della tradizione letteraria che ha visto prevalere (da Verga a Sciascia, per intendersi) una immagine “veristica” della Sicilia, non è stato finora dato lo spazio dovuto al carattere “mitico-arcaico” dell’isola e alla sua più profonda identità. A questa esigenza intese invece rispondere, con tutta la sua opera saggistica e narrativa, lo scrittore Giuseppe Rovella, che a distanza di vent’anni dalla morte viene opportunamente rivalutato da un puntuale ed appassionato saggio di Emanuele Messina (“Dal Bagolaro alla sequoia. La vita e l’opera di Giuseppe Rovella”, Romeo editore, pp. 198, euro 13,00). Una ricerca certamente non facile, come riconosce lo stesso studioso siracusano, per l’ampiezza e la problematicità delle opere di Rovella (edite ed inedite) che nasce da un “obbligo di amicizia” durata almeno quindici anni. E da una convinzione: che la narrativa di Rovella sia fra le “migliori del nostro tempo, per l’originalità dei temi, per il supporto culturale, interamente amalgamato e sublimato e per la bellezza , la delicatezza, la cura e l’efficacia del narrare”. Rovella è un vero e proprio “caso“ letterario. Nonostante la fitta tela di corrispondenze con pensatori e letterati, critici e editori, i suoi sei romanzi, i saggi, ed i racconti non trovarono mai il giusto riconoscimento. Rovella fu narratore di insuccesso in un momento e in una regione di scrittori di successo. Un percorso sempre in salita, quello dello scrittore-filosofo di Palazzolo Acreide, al contrario di tanti narratori contemporanei molto meno dotati di lui. Aveva esordito con la poesia, poi sull’onda della lunga frequentazione con Ugo Spirito e Cleto Carbonara aveva pubblicato nel 1975 un lungo saggio di filosofia teoretica (“Un uomo, una filosofia”, Giannini editore). Non senza polemiche aveva rinunziato alla carriera universitaria ed aveva scelto di continuare ad insegnare filosofia nei Licei. Dal razionalismo kantiano era approdato allo spiritualismo. Nel suo romanzo più ambizioso, “La Fattoria delle querce” è la lingua, il ritmo, il suono che catturano il lettore e lo riportano in un tempo senza tempo, “nell’iperuranio dello spirito”. E’ una Sicilia greca, arcaica, fatta di sessualità, di passione feroce, amicizia, crudeltà, fede. Il mondo contadino è riprodotto con i suoi gesti rituali, la sua parlata sapienzale, quella che lo stesso scrittore definiva una “esplosione irrazionale”. Ed allora perché non fu capito? Perché la Fattoria delle Querce, Deneb, L’Angelo e il re, o La Vita di Gesù non diventarono romanzi di successo? Nel suo saggio, Emanuele Messina sostiene che Rovella era avanti rispetto ai tempi, né volle sacrificare la sua idea dell’arte e della letteratura alle esigenze del mercato editoriale. Ma lo stesso scrittore, poco prima di morire (improvvisamente la mattina del giorno di Pasqua) aveva rinunciato al traguardo del successo di pubblico. In una lettera inviata a Leonardo Sciascia nel novembre del 1984 scriveva: “La mia Sicilia riconosce la tua- come quella degli altri scrittori siciliani !- ma non è certo né la tua né quella degli altri, sebbene le presupponga tutte quante, e la tua, in particolare…”
La Sicilia -20 gennaio 2009
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