Eluana e Federica: icone del dolore e del dramma familiare
venerdì 11 luglio 2008
Attorno ad Eluana Englaro si sta scatenando il dibattito tra chi pensa che “vivere non è soltanto continuare a respirare”(Il Riformista) e chi invece come “Il Foglio” ha parlato di “sentenza di morte”, visto che “Eluana respira da sola, tolto il sondino morirà di fame e di sete”. Per chi non può esprimersi, può valere l’interpretazione di altri? Un tutore può intervenire su diritti personalissimi che non ammettono rappresentanza?Questo è il punto dirimente di questa vicenda. Per i più banali atti medici viene chiesto il consenso informato: si può saltare se si tratta di persone incapaci di intendere e volere o in coma da anni ? Quello di Eluana non è un corpo privo di valore, è Eluana. Monsignor Fisichella, presidente della Pontificia Accademia Pro Vita, si è chiesto “come sia possibile che il giudice si sostituisca alla persona coinvolta e al legislatore”. Il coma è una forma di vita e nessuno può permettersi di porre fine a una vita personale. Il centro di Bioetica dell’Università cattolica ha sollevato una obiezione fondata : sospendere trattamenti ordinari come quelli somministrati a un paziente in stato vegetativo a motivo di una decisione che non ha fondamento clinico, significa di fatto scardinare il dovere fondamentale del prendersi cura dei pazienti che non sono in grado di intendere e volere. Per assurdo, un genitore di un bambino nato con gravi ed irreversibili malformazioni celebrali, potrebbe rivolgersi ad un tribunale per chiedere l’autorizzazione a non nutrirlo. Diventeremmo come Sparta, dove i bambini storpi e malati venivano buttati giù dalla rupe. Tuttavia, ad autorevoli personalità del mondo laico(uno per tutti, l’oncologo Veronesi) appare inaccettabile il principio che vivere sia semplicemente continuare a respirare. Oppure a digerire. In tal senso la decisione della corte d’appello di Milano su Eluana diventa l’occasione per riflettere se sia giusto staccare la spina in nome della pietà (ricordate il film “Million dollar baby”) e se concentrarsi sugli indici biologici delle vita abbia fatto perdere di vista la questione della sua dignità, che non può essere assicurata da un accanimento di cure, o da una alimentazione artificiale protratta in modo indefinito. Una pietà che non può certo invocarsi per il balordo assassino di Federica Squarise. Lei era una delle tante ragazze italiane che si organizzano una vacanza all’estero. Tutte uguali, tutte libere, tutte insicure. Ci piace pensare che i giovani siano tutti buoni, si vogliono tutti bene, che ogni incontro con uno sconosciuto sia solo un allargamento delle proprie esperienze. Se chi incontri è vestito come te, beve come te, fuma come te, è normale frequentarlo con fiducia. E i genitori sono in colpevole silenzio: quasi nessuno ha il coraggio di aprire gli occhi ai propri figli. E come potremmo? Se non siamo capaci di fare studiare i nostri figli, di negare loro il motorino, di imporre un’ora di rientro serale? Così li mandiamo in giro per il mondo: fragili, pieni di assurde utopie, incapaci di guardare alla realtà. C'è chi dice che non è il luogo, ma la persona a fare la differenza. E che quindi a Federica una simile tragedia poteva capitare anche sotto casa. Ma è anche vero che all'estero aumenta il rischio di dare fiducia alla persona sbagliata, ma anche di essere percepite come una preda facile. Qualche raccomandazione in più(soprattutto quando si va in luoghi folli come Lloret e mar) ed una educazione diversa , forse, eviterebbero la catena di stupri e le aggressioni a cui sono sottoposte migliaia di ragazze. La Sicilia- 11 luglio 2008 |
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