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La morte dolce non giustifica l'eutanasia
domenica 24 settembre 2006
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“Io amo la vita. Morire mi fa orrore, ma purtroppo ciò che mi è rimasto non è più vita…”. L’appello di Piergiorgio Welbay, rivolto al Presidente della Repubblica ,Napoletano, ha riaperto il dibattito sull’eutanasia. Un tema quello della “morte dolce” che interessa soprattutto 1500 italiani che vivono in stato vegetativo, ma che, purtroppo, riguarda anche tanti malati terminali. C’è chi propone il “testamento biologico”, nel quale ciascuno di noi potrebbe dare disposizioni qualora non fosse in grado di intendere e di volere, indicando un fiduciario che prenda decisioni in sua vece.Un paio di anni fa, il cardinale Joseph Ratzinger scrisse che “interruzione dell’accadimento terapeutico ha valenza morale”. E lo stesso codice deontologico dei medici è rigoroso contro l’accanimento.
Ma l’intervento umano per dare la morte è ben altra cosa. E’ una esperienza terribile, che oggi è praticata clandestinamente in molte cliniche ed ospedali. Conosco il dramma dei malati terminali.
Mia madre è morta di cancro, a cinquanta anni. Era stata operata dieci anni prima al seno. Sembrava ormai guarita. Ma il tumore è una bestia cattiva: quando meno te lo aspetti ti aggredisce. A distanza di dieci anni, mia madre fu nuovamente colpita dal male, stavolta in maniera devastante. Prima cominciarono i dolori fortissimi alle braccia e alle spalle. Poi, pian piano, sul suo corpo si formò una specie di corazza vioalecea, che lentamente le ricoprì il dorso e poi il torace. Il tumore si espandeva all’esterno, oltre che all’interno del suo corpo martoriato, si nutriva della pelle bianca di mia madre, la macerava, la straziava, esplodeva in piaghe e bubboni sanguinanti. A nulla serviva la morfina per alleviare i dolori. I medici aumentavano ogni giorno la dose, fino a stordirla, come in uno stato di allucinazione perenne. Una notte, in ospedale, mia madre, mi chiamò sussurrando appena il mio nome, per non farsi sentire da altri. “Voglio morire. Sollevami e buttami dalla finestra.Ti prego, aiutami. Non ce la faccio più. Nessuno se ne accorgerà. Penseranno ad un suicidio. Fallo, ti scongiuro. Ormai è finita…”. La guardai con un sentimento di pietà. Era il culmine della disperazione, umanamente comprensibile. Anche Cristo, flagelato sulla croce, si rivolse al Padre,cioè a Dio padre, chiedendogli perchè l'avesse abbandonato.Da uomo desiderò la fine della sofferenza. Ogni tanto nel cuore della notte, mi sveglio perché mi sembra di risentire il rantolo di mia madre, le sue grida di aiuto, intermittenti, gli appelli rivolti al Signore e alla Madonnina. Non perse mai la fede. Tre mesi durò quell’agonia. Poi, su consiglio dei medici, una mattina, decidemmo di riportarla a casa. Quando vide la sua camera da letto, i figli attorno a lei, una lacrima lentamente le solcò il viso. Era più serena. Non c’era più bisogno della morfina. Riuscì ad indicarci il vestito e le scarpe che avrebbe voluto indossare nel suo ultimo viaggio. Dopo qualche ora si spense, stringendomi forte la mano, come se non volesse staccare la "spina" della vita. Voleva continuare a vivere. Ma io non riuscivo a piangere in quel momento. Pensavo solo che le sue sofferenze atroci erano finite. La natura, che per noi cristiani è il volere di Dio, aveva fatto il suo corso. Ecco perchè sono contro l'eutanasia che contraddice l'idea cristiana della vita. La morte è un mistero, come lo è la vita. Non tocca a noi decidere quando staccare quella spina.Chi predica la libertà di intervenire, chi compra, per gioco, i kit per l'eutanasia in Olanda, in realtà vuole sovvertire le leggi della natura. Di fatto, vuole sostituirsi a Dio.

24 settembre 2006
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