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Impiegati fannulloni? Non si fa cassa sulla pelle della gente. Parliamo dell'evasione dell' IVA intracomunitaria.
domenica 3 settembre 2006
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Ormai è diventato il tormentone di fine estate: bisogna licenziare i dipendenti pubblici “fannulloni”. Anche ieri sul Corriere della Sera, Michele Salvati se la prendeva con i sindacati del pubblico impiego rei di “aver occupato per mancanza di resistenza il ruolo e le prerogative dei dirigenti, nella gestione del personale, nelle assunzioni e nei rapporto del giorno per giorno(?)”. C’è da rimanere davvero allibiti .Questi editorialisti strapagati ormai parlano tutti la stessa lingua, a “gettone”, lanciando accuse ridicole contro il mondo del lavoro e propinando suggerimenti del tutto “interessati” al Governo. Ma non vogliamo difendere in questo articolo i dipendenti pubblici. Ci pensano già molto bene i sindacalisti della Cisl del settore. Vogliamo invece denunciare pubblicamente un fenomeno che non ha eguali al mondo: l’evasione sull'Iva relativa agli scambi intracomunitari. Tutto o quasi tutto il commercio parallelo delle automobili di importazione è in evasione IVA, altrettanto tutto il mercato dell'informatica, dell'HI-TECH, dei telefonini, perfino dei cosmetici da banco in farmacia. Si tratta di almeno 40 miliardi di euro all’anno di evasione solo su questi versanti. Ichino, Panebianco, Salvati le sanno queste cose? Perché non denunciano pubblicamente questo scandalo, invece di lanciare accuse contro chi fa il proprio dovere?
Le società che acquistano dai paesi europei attraverso società "filtro" e società "cartiere" riescono a non pagare l'IVA e spesso vanno a credito nei confronti dello Stato, truffando fior di soldi con rimborsi IVA e plafond fasulli.
Le norme penali tributarie sono state molto alleggerite dai governi precedenti nel presupposto che occorreva dare fiducia al contribuente, non criminalizzandolo, e ,parallelamente, aumentare il numero e la qualità dei controlli.
Quest'ultima parte non è stata attuata, anzi il governo Berlusconi ha lasciato l'amministrazione fiscale in preda all'entropia: nessuna assunzione, frotte di dipendenti esperti andati in pensione spaventati dagli allarmismi continui sui tagli alla previdenza, nessun investimento per adeguare la banca dati informatica inefficiente e non aggiornata oltre che incompleta, condoni come se piovesse e studi di settore non aggiornati che promettono l’assenza di controlli se si sta dentro certi parametri, ciò che penalizza le aziende che vanno male ed ingrassa gli imprenditori ricchi.
Sessantasettemila finanzieri, trentamila dipendenti delle agenzie delle entrate e novemila delle dogane:se veramente fossero in gran parte adibiti ai controlli sarebbero una “force de frappe” imponente.
Ma le cose stanno molto diversamente.
I 67.000 agenti della Guardia di Finanza sono adibiti in misura di 50.000/55.000 unità ad altre cose, ben diverse dal fisco: soccorso alpino e marittimo, guardia costiera, antiterrorismo, beni culturali, beni ambientali, inquinamento, frodi in materia di politica agricola comune, controllo delle banche, controlli valutari, controllo del doppio lavoro dei dipendenti pubblici, lotta alla droga alla contraffazione, polizia stradale, scorte, gruppi sportivi. In media un finanziare della Tributaria fa due avvisi di accertamento all’anno. Spesso quegli stessi avvisi di accertamento vengono impugnati dai contribuenti,per errori formali , e ,così, parte il lungo contenzioso. Alla fine della guerra tributaria, lo stato non incassa niente.
Una proposta? Mettiamo i finanzieri a lavorare insieme all’amministrazione civile , istituendo delle squadre miste. Si va insieme a fare la verifica, si controllano meglio i bilanci ed i magazzini, si fanno verbali puntuali e precisi. Allora sì che il fisco farebbe veramente paura e sarebbe possibile abbassare le aliquote, allargare la platea dei contribuenti (più gettito e tasse più leggere per tutti). Questa è una delle "scosse" che ci aspettiamo dal Governo Prodi.
Inoltre in questo modo si potrebbero fare i controlli incrociati con le banche, il P.R.A, il registro nautico senza prima chiedere l’autorizzazione alla magistratura.
Evadere l'Iva conviene più di una rapina. L'ideale è il business dei cellulari, quello dell'informatica o quello delle auto.
Il sistema per rubare l'Iva allo Stato ruota intorno alle società fittizie. Scatole vuote. Gli investigatori le chiamano "cartiere", perché servono solo a far girare della carta, ossia le fatture. Le cosiddette "cartiere" sono società che non tengono la contabilità, non dichiarano nulla, durano solo qualche mese e poi spariscono. In pratica sono evasori totali.
Spesso le "cartiere" sono intestate a persone nullatenenti, a cui viene offerto uno stipendio in cambio di una firma. Sono i prestanome.
Questo è un fenomeno criminale di gravità devastante, perché siamo nell'ordine di centinaia di milioni di euro di evasione all'anno.
Non c’ è nessuno che va a verificare se esisti o se non esisti, chi sei o chi non sei. Se io domani mattina mi sveglio e voglio aprire la mia ditta presso il comando della Guardia di Finanza, lo faccio e la Guardia di Finanza non lo sa. Posso aprirla anche presso un cimitero, presso una tomba. Per due anni nessuno viene a controllare quello che faccio.
Per questioni di valuta e di scopertura di conto, ogni anno queste società lasciano dai 500 milioni al miliardo di lire di interessi passivi alle banche. le banche.
La cosa strana è che questa evasione da centinaia di milioni di euro nasca da una legge. Tutto inizia nel '93, dall'apertura dei confini. I paesi dell'Unione Europea avevano aliquote Iva differenti. Per non far torto a nessuno si stabilì che negli scambi tra i paesi membri temporaneamente sarebbe stato sospeso il pagamento dell'Iva.
Quindi per esempio, quando una ditta italiana compra dalla Germania, acquista senza Iva. Viceversa quando la ditta italiana vende a un cliente tedesco, il cliente tedesco non versa l'Iva e la ditta italiana va a farsela rimborsare dal nostro Fisco.
Questo sistema ha dato il via alle truffe. Basta mettersi d'accordo con un finto compratore estero e si possono fare delle finte esportazioni, che danno diritto a soldi veri: i soldi del rimborso dell'Iva.
L'esportatore fittizio va a chiedere allo Stato, presenta una domanda di rimborso dell'imposta sul valore aggiunto perché è a credito. Dice allo Stato "guarda che io ho diritto al rimborso Iva perché ho pagato un'Iva che poi non riesco più ad incamerarmi, perché ho venduto all'estero.
Incamera l'Iva e nel momento in cui incamera l'Iva, questa Iva viene completamente truffata.
E' un carosello fiscale dove girano solo delle carte, che transitano per una cartiera, cioè una società che fa il "lavaggio" dell'Iva, la evade, dura qualche mese e poi scompare.
C'è poi un altro sistema di carosello fiscale, dove la merce invece viene effettivamente spedita, dall'estero in Italia, ma si fa finta che, prima di arrivare a destinazione, sia transitata per altre società.
Quindi questi due soggetti, la cartiera e il filtro, sono due soggetti che vengono interposti, proprio per permettere al destinatario finale di ottenere la merce ad un prezzo più concorrenziale: un grande distributore di microprocessori o di telefoni, per esempio.
Senza l'Iva la merce di fatto costa meno e quindi arriva al vero destinatario finale a un prezzo inferiore. Sono le grandi aziende che alla fine chiedono i rimborsi Iva.
Ai grandi distributori questa situazione fa comodo, la concorrenza sleale fa vendere. La domanda è: il destinatario finale, quello che vende a 100 una cosa che vale 115, è un inconsapevole evasore o sa benissimo che cosa stanno facendo le altre pedine del gioco?
Tanto per dare un'idea: nel 2003 frode ed evasione di Iva hanno fatto un buco di 2 miliardi di euro. Visto che le cartiere sono nate da una norma, se ne potrebbe fare un'altra che uniforma le aliquote Iva tra i diversi paesi dell'Unione. Così tutti la pagano all'origine e non ci sarebbe bisogno di licenziare, come sostiene Salvati, i dipendenti pubblici per abbattere il nostro debito pubblico. I lavoratori non si usano per fare cassa.
Roma 4 settembre




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