Ho una proposta: mandiamo il sindaco-borghese Cofferati a Napoli o in Calabria. E vediamo come se la cava...
Ormai è diventanto l’ ”icona” di una sinistra borghese, che reclama il ripristino della legalità in nome di un Ordine oggi socialmente riconosciuto ed accettato: si chiama Sergio Cofferati e fa il Sindaco di Bologna. Lui è stato sempre un “conservatore” , un vero stalinista che odia le parole “riforme”, “concertazione” , “confronto”, “unità sindacale”. Non a caso il suo motto è : “ciascuno faccia il suo mestiere”, come dire, e chi se ne frega degli altri! Cofferati è stato sempre una persona immancabilmente borghese, un politico statico, tignoso, per il quale è meglio non cambiare nulla piuttosto che correre il rischio di un qualche necessario cambiamento. Non è, dunque, un caso che da sindaco di Bologna abbia puntato tutto proprio sul lato meno oscuro del suo carattere. Con una sapiente operazione propagandistica ha fatto diventare l’opulenta Bologna come Beirut, dove, secondo lui, nessuno rispetterebbe le leggi, a cominciare da qualche decina di lavavetri e qualche poveraccio senza fissa dimora. Bologna è una delle città più ricche d’Italia, dove cercare un disoccupato è davvero un' impresa. Tutti hanno una bella casa, automobili da 70 mila euro, ville in collina. Ogni tanto si intravede per le strade un extracomunitario, con una borsa piena di roba taroccata. E Cofferati, come Tex Wiler, si è lanciato all’assalto di questi poveracci, per tornare sulle prime pagine dei giornali, come un Don Chisciotte all’ultima crociata.
Per saziare la voglia incontenibile di “legalità” del sindaco-sceriffo-borghese Sergio Cofferati, così osannato a destra e sinistra, proporrei di inviarlo come “commissario” straordinario e bipartisan a Napoli o Reggio Calabria, dove ci sono piazze ostaggio di un popolo ben più numeroso di extracomunitari e disoccupati disobbedienti, strade da terzo mondo, immondizie dappertutto, quartieri assediati da bande di delinquenti, mafie, ‘ndranghete e camarille che non fanno sconti a nessuno. E vediamo come se la cava…
Il Foglio - 31 ottobre 2005